Articolo Pubblicato su “TUTTOSCUOLA”
03 marzo 2016
TUTTO PUO’ AIUTARE a… “SCALDARE MENTE E CUORE” per RENDERCI MIGLIORI…
BUONA LETTURA…
Uno slogan
molto fortunato descrive in maniera efficace il grande cambiamento che si è
verificato, in tempi recenti, nel modo di pensare alla scuola e ai suoi compiti
fondamentali: “dalla scuola dell’insegnamento alla scuola dell’apprendimento”.
Che cosa si vuole intendere con tale affermazione? Ci può venire in aiuto
una nota citazione, utilizzata dallo stesso E. Morin, quando riporta il detto
attribuito a Montaigne: <<è meglio una testa ben fatta che una
testa ben piena>>. Forse che l’insegnare si possa interpretare come un
‘riempire le teste’?. Non è, certo, questo il senso di insegnare,
verbo che rimanda a ben più profondi significati. L’ insegnante è colui che
lascia una traccia, che segna l’esperienza dei suoi allievi. Nell’essere
insegnante è implicito l’avere una grande responsabilità. Scrive D. Pennac,
ricordando la sua esperienza molto dolorosa di alunno eternamente votato
all’insuccesso:<>.
Cambiare
la prospettiva dell’insegnamento
Dire
che siamo di fronte ad un cambiamento di prospettiva, che vede l’apprendimento
balzare in primo piano e prendere il posto centrale che tradizionalmente era
stato occupato dall’insegnamento, non significa cancellare o anche solo
impoverire la funzione di chi insegna. In gioco non è l’importanza della
relazione educativa, e in particolare l’autorevolezza dell’insegnante, che ne
ha la principale responsabilità, ma ciò che viene messo in discussione è quella
impostazione didattica consolidata da una lunghissima pratica che vede
l’insegnante preoccupato di trasmettere conoscenze e di formare abilità
destinate a durare nel tempo.
Che la scuola
debba insegnare a pensare, e non imbonire di nozioni gli studenti è stato detto
da autorevoli pensatori, fin dall’antichità e le citazioni, riferibili a tutti
i periodi storici, sarebbero veramente numerose. In realtà, nell’immagine
della ‘testa ben fatta’ , E. Morin propone, oltre alla critica alla scuola
nozionistica e pedante, qualcosa di molto nuovo, che spiega perché sia ritenuto
indispensabile cambiare paradigma, assumendo come riferimento chiave
l’apprendimento e non l’insegnamento.
Oggi la
necessità di una rivoluzione paradigmatica è molto più forte e urgente del
passato. In un breve arco di tempo si è compiuto il passaggio da una società
caratterizzata da una economia impostata sul modello industriale ad una di tipo
post-industriale, dalla modernità alla post-modernità.
Il mercato
del lavoro cerca lavoratori con una formazione elevata, che dimostrino capacità
di ragionamento, di assunzione di responsabilità, di fronteggiamento efficace
di nuovi problemi e di acquisizione di nuove competenze. << L’economia
della conoscenza richiede molto di più che la memorizzazione dei fatti e delle
procedure. Oggi l’educazione dei lavoratori deve includere una comprensione
teorica dei concetti complessi, nonché la capacità di utilizzarli in modo
creativo per generare nuove idee, nuove teorie, nuovi prodotti e nuove
informazioni. Un lavoratore formato secondo questi criteri deve essere in grado
di valutare criticamente quello che legge, di esprimersi con chiarezza, sia
verbalmente, sia per iscritto, e di comprendere il pensiero scientifico e
matematico. Deve inoltre apprendere a conoscere in modo integrato ed applicabile,
piuttosto che riprodurre una serie di fatti e di comportamenti stagni e in modo
decontestualizzato. Deve infine essere in grado di assumersi la responsabilità
del proprio apprendimento continuo, sull’arco di tutta la vita. Queste capacità
sono di grande importanza per l’economia, per mantenere il successo della
democrazia, e per condurre un’esistenza soddisfacente, significativa>>.
Non sarà
rimanendo dentro l’antico paradigma dell’insegnamento trasmissivo e dentro il
vecchio rigido impianto della burocrazia scolastica che si potranno trovare le
risposte efficaci. <> Come richiama E. Morin, più che di riforme di
programmi c’è bisogno di riformare il pensiero che utilizziamo quando ci
occupiamo del senso della scuola nel XXI secolo.
Il nuovo
contesto richiede ai sistemi educativi, in particolare alla scuola, di
ripensare profondamente la propria impostazione, rivedendo metodi, contenuti,
riferimenti valoriali.
La
consapevolezza della inservibilità del modello didattico tradizionale postula
un profondo cambiamento nella impostazione didattica, pena il rischio che essa
diventi sempre più anacronistica, incapace di fornire l’attrezzatura cognitiva
indispensabile a vivere nella complessità di una società dove tutto si modifica
rapidamente, e conoscenze e abilità acquisite dopo un lungo tirocinio
scolastico possono, molto presto, risultare inservibili.
Insegnare
ad apprendere, cioè?
La società
della conoscenza, figlia di un’economia molto diversa da quella della società
industriale, mette sul tavolo buoni argomenti a sostegno del cambiamento e apre
suggestive possibilità per chi saprà intraprendere tale strada. Ma vanno messi
in luce anche i rischi presenti, se a prevalere saranno le dure ragioni del
mercato e non quelle del più pieno sviluppo della persona e della convivenza
umana.
Affinchè la
società e l’economia della conoscenza possano risultare veramente una grande
opportunità per gli uomini del XXI secolo è necessario non solo porre al centro
dei sistemi formativi l’apprendimento, ma precisare i tratti che tale
apprendimento dovrebbe avere.
Ancora una
volta prendiamo spunto da uno slogan molto fortunato: ‘insegnare ad
apprendere’, sul cui significato sembrerebbe esserci un accordo universale.
Tale espressione sintetizza il compito oggi affidato ai sistemi di istruzione.
Se, infatti, si sposta l’enfasi dall’insegnamento all’apprendimento, insegnare
ad apprendere diventa l’obiettivo cruciale.
Ma quali
dovrebbe essere le dimensioni caratterizzanti tale apprendimento?
L’indicazione
più autorevole ci viene offerta dal Rapporto Dèlors, dal nome dell’autorevole
coordinatore. Il Rapporto si interroga su che cosa sia richiesto per
fronteggiare adeguatamente le sfide che il XXI secolo pone e vede
nell’educazione la principale risorsa. Bisogna avere coraggio di puntare sull’educazione,
che viene definita come utopia necessaria: << Nell’affrontare le numerose
sfide che il futuro ha in serbo, l’umanità vede nell’educazione una risorsa
indispensabile nel suo tentativo di realizzare gli ideali di pace, libertà,
giustizia sociale. In conclusione dei suoi lavori la Commissione ribadisce la
propria convinzione riguardo alla funzione essenziale dell’educazione nello
sviluppo continuo della persona e della società. La Commissione non vede
l’educazione come una cura miracolosa, quasi un “Apriti Sesamo” per un mondo
nel quale tutti questi ideali saranno realizzati, ma come una via, non la sola,
ma certamente più importante delle altre, al servizio dello sviluppo umano più
armonioso e più genuino possibili, in grado da sconfiggere la povertà,
l’esclusione, le incomprensioni, la guerra>>
L’educazione
rappresenta il cuore pulsante del cammino verso la piena realizzazione umana,
tanto a livello personale che sociale; nell’educazione è conservato il tesoro
che deve essere messo a disposizione, per fruttificare. L’apprendimento è il
frutto dell’educazione, il risultato prezioso al quale tendere. Ma quali sono
le dimensioni che connotano l’apprendimento desiderato? Il cap. 4 del Rapporto
le indica con grande efficacia, considerandole i pilastri saldi sui quali si
può costruire un’umanità migliore: imparare a conoscere, imparare a fare,
imparare a vivere insieme, imparare ad essere.
a)
Imparare a conoscere, richiede di disporre di una conoscenza generale
sufficientemente ampia, che possa però combinarsi con la scelta di
lavorare in profondità su un piccolo numero di materie. E’ la possibilità di
approfondimento che permette di sviluppare la fondamentale competenza dell’imparare
ad imparare, competenza che consente di trarre beneficio dalle opportunità
offerte dall’educazione nel corso della vita.
b)
Imparare a fare, comporta non semplicemente l’acquisizione di specifiche
abilità professionali, ma, ancor di più, la capacità di affrontare una
molteplicità di situazioni problematiche. Nell’imparare a fare è
implicita anche la capacità di lavorare in gruppo. Inoltre questa competenza si
apprende meglio mettendola alla prova nel contesto delle varie esperienze
sociali e di lavoro, che possono essere, oltre che formali, anche informali.
c)
Imparare a convivere, sviluppando comprensione degli altri e
apprezzando, nel lavoro comune, l’interdipendenza (impegnandosi nella
realizzazione di progetti comuni e imparando a gestire i possibili
conflitti che la negoziazione con gli altri comporta) in uno spirito di
rispetto per i valori del pluralismo, della reciproca comprensione e della
pace.
d)
Imparare a essere, cioè imparare a sviluppare integralmente se stessi,
la propria personalità, i propri talenti. Diventare capaci di agire con
autonomia di giudizio e sapendo assumersi le proprie responsabilità. Tutto il
potenziale umano va preso in considerazione e mobilitato: memoria,
ragionamento, senso estetico, capacità fisiche e attitudini comunicative.
La concezione di apprendimento che il rapporto Delors ci consegna va ben al
di là di quella interpretazione riduzionistica e funzionalista che è
presente nella cultura diffusa e che è veicolata anche da numerosi documenti
internazionali. L’utopia di cui si fa carico –ma, più propriamente, l’orizzonte
possibile e non scontato al quale tendere- è quello di un nuovo umanesimo. La
visione che ispira il Rapporto manda in frantumi l’immagine semplicistica
e strumentale della relazione tra formazione scolastica e mondo economico, per
cui l’economia pone le richieste e la scuola funziona se sa offrire risposte on
demand. Una simile visione è accattivante, perché chiede alla scuola di
essere il motore delle innovazioni tecnologiche e della competitività
economica, e questo spinge i decisori politici a promuovere policy orientate in
tal senso, attraverso riforme curricolari e, ancora di più, utilizzando forme
di rilevazioni nazionali e internazionali finalizzate quasi
esclusivamente a misurare i risultati degli apprendimenti in relazione
all’adeguatezza con il tipo di richieste che si immagina provengano dalla sfera
economica.
Il
contributo delle teorie dell’apprendimento
A sostenere
l’urgenza di cambiare il paradigma didattico trasmissivo non ci sono solo i
cambiamenti intervenuti in campo economico. La ricerca educativa ci fornisce
ragioni ancora più forti. Siamo debitori al pensiero di J. Piaget, H.
Wallon, L. Vygotskij, M. Montessori, Bruner …, solo per citare alcuni dei
grandi studiosi che ci hanno aperto gli occhi sull’infanzia, sulla costruzione
del pensiero, sullo sviluppo del linguaggio, ma la ricerca sull’apprendimento
ha fatto molti passi in avanti. Recentemente è stato pubblicato un testo
particolarmente significativo: The nature of learning, che esplora, da
varie prospettive, la natura dell’apprendimento e le strategie educative che
meglio possono corrispondervi. Il lavoro, condotto a più mani da una equipe di
studiosi di grande profilo, rappresenta una sorta di sintesi sullo stato
dell’arte della ricerca educativa in tema di apprendimento (vengono prese in
considerazione tematiche quali: il ruolo della motivazione e delle emozioni,
l’apprendimento attraverso le tecnologie, le strategie della ricerca , del
cooperative, del service learning, il ruolo della valutazione formativa, la
comunità intesa come risorsa per l’apprendimento, l’influenza del contesto
famigliare e sociale …).
Le
indicazioni per la didattica che la ricerca sull’apprendimento mette a
disposizione, e che chiedono di essere tradotte in maniera intelligente e
‘adattiva’ nei diversi contesti scolastici ci segnalano che:
- La persona va messa al centro
degli ambienti di apprendimento. Questo
comporta la promozione di un coinvolgimento molto forte dello studente, che
miri a farlo diventare autonomo nella gestione dei suoi processi di
apprendimento e capace di riflettere sul suo lavoro, quindi con sviluppate
competenze meta cognitive. Questo è possibile se cambia la posizione che
l’insegnante assume, da “sage on the stage” a “guide on the side” (da “saggio
sul palco” a “guida a fianco” dello studente).
- L’apprendimento ha una natura
sociale. L’aula non è un mero contenitore di
singoli alunni, ma, almeno potenzialmente, un luogo di ricche interazioni
sociali. L’apprendimento stesso ha una natura sociale e bisogna utilizzare tale
caratteristica. Da qui l’importanza delle varie forme di apprendimento
collaborativo e dello sviluppo di reti nelle quali siano possibili scambi e
interazioni.
- La motivazione e le emozioni hanno
un ruolo molto importante. Se l’insegnate riconosce il ruolo
che motivazione ed emozioni giocano nell’apprendimento dovrebbe cercare di
entrare in sintonia con tale enorme potenziale, sempre disponibile. Non si
richiede all’insegnante di essere ‘simpatico’, ‘amicone’ dei suoi allievi, ma
di essere capace di ascolto, empatia, disponibilità a comprendere.
- Le differenze individuali
rappresentano la situazione normale di ogni classe. Le diversità rappresentano una sfida per l’insegnante, ma anche una grande
opportunità. Del resto, se si mette al centro dell’ambiente di apprendimento
l’alunno, la conseguenza logica è che si adottino strategie didattiche capaci
di considerare le differenze individuali, sia per quanto riguarda la
considerazione delle fragilità, dei punti deboli, sia per quanto riguarda le
potenzialità di cui ciascun allievo dispone.
- La Valutazione deve essere
formativa. Gli alunni hanno bisogno di ricevere
dall’insegnante continui feedback durante il loro percorso di apprendimento. La
stessa valutazione va vista come occasione per favorire negli allievi una
maggior consapevolezza circa le proprie acquisizioni e i punti di difficoltà e
essere utilizzata , anche dall’insegnante, in funzione di una revisione del
percorso e di una riprogettazione continua.
- Va promossa la capacità di
generare connessioni trasversali. Il richiamo
è a superare i rigidi confini delle acquisizioni disciplinari. Un buon
insegnamento promuove la capacità di creare collegamenti tra le diverse
discipline e aree di conoscenze e di operare transfer..
- L’apprendimento non ha solo un
significato individuale ma sociale. Gli studenti
che sanno mettere a disposizione degli altri quanto apprendono nella scuola,
sperimentando forme di servizio alla comunità, apprendono meglio.
Le più
accreditate ricerche sull’apprendimento forniscono, quindi, preziose
indicazioni, che, se accolte, portano a ipotizzare un diverso modello di
scuola, rinnovato tanto nel campo della didattica praticata quanto nella sua
ambientazione organizzativa.
Le
linee guida di una didattica rinnovata rispondono a istanze quali la
personalizzazione dell’apprendimento, la valorizzazione delle pratiche di aula
come la ricerca e il lavorare per progetti, l’utilizzo consapevole delle
tecnologie, il ricorso sistematico a forme di apprendimento collaborativo,
l’enfasi sull’autoregolazione dell’apprendimento grazie alla promozione di
forme di riflessività e di autovalutazione, lo stretto collegamento tra
apprendimento scolastico e vita reale …
Rispetto a
questi orientamenti il modello didattico della lezione frontale, ancora oggi
prevalente, guarda nella direzione opposta e dà le spalle al futuro. I suoi
elementi costitutivi, che sono dati dalla linearità della relazione
insegnamento-apprendimento, dalla rigidità dei ruoli assegnati (l’insegnante
trasmette sapere, l’alunno recepisce; l’insegnante verifica, l’alunno riproduce
il sapere appreso), dall’ asimmetria radicale di colui che ‘sa’ e di colui che
‘non sa’ e che deve imparare, appaiono ormai inadeguati.
La relazione
didattica come arte dell’incoraggiamento
L’esperienza
diffusa ci fa vedere come molti docenti, anche notevolmente colti e perfino
appassionati al loro lavoro, non riescono a trasmettere interesse per quanto
insegnano e ottengono risultati spesso deludenti. Perché l’azione didattica
risulti efficace non è sufficiente che l’insegnante conosca bene i contenuti
del suo insegnamento; l’insegnamento è una professione complessa, che include
tra le sue dimensioni, oltre alla conoscenza della materia, la competenza nella
trasmissione dei contenuti, nel coinvolgimento degli alunni, nella formazione
di abilità di indagine. Essere insegnanti efficaci significa possedere
adeguate modalità di mediazione e di relazione.
I metodi di
insegnamento rappresentano, per eccellenza, le forme della mediazione, una
mediazione che, è –insieme- scienza e arte, anzi, per dirla con il bel titolo
di un libro ‘arte dell’incoraggiamento.’
Ci sono due
fondamentali aspetti che l’insegnante deve presidiare e padroneggiare, quello
più squisitamente didattico, consistente nelle modalità di sollecitazione
cognitiva e quello relazionale, che riguarda la qualità del rapporto, la
motivazione al compito di apprendimento, la dimensione cooperativa del lavoro
in aula. Saper insegnare comporta anche il saper incoraggiare, nel senso di
sostenere gli alunni nell’impegnativo percorso della conquista dei significati.
E’, questo, un compito così delicato e difficile, che viene considerato
un’arte. Padroneggiare l’arte dell’incoraggiamento significa saper innescare
“un processo di cooperazione tra insegnanti e allievi che mira a generare in
questi ultimi uno stato d’animo positivo, di coraggio, rispetto alle
possibilità di superare le diverse situazioni e raggiungere gli obiettivi
preposti… L’esperienza di coraggio si configura come una strutturazione
psichica complessa che dispone gli allievi ad agire in senso proattivo. Essa è
il risultato di processi cognitivi tramite i quali la situazione da affrontare
è valutata come superabile o quantomeno gestibile, valutazione che motiva la
ricerca di soluzioni e l’assunzione di responsabilità.”
La
qualità della relazione tra gli insegnanti e gli alunni, ma anche
quella che lega gli alunni tra loro, è centrale, tanto che la qualità delle
relazioni che si intessono nell’ambiente di apprendimento, potrebbe essere
proposta come criterio di valutazione della qualità della didattica. Ci sono,
però, diversi modi d’intendere la relazione tra insegnare e apprendere.
a) Relazione
lineare. Nella concezione lineare del rapporto didattico è presente l’idea
che l’ apprendimento sia una sorta di variabile dipendente dell’azione
didattica, il suo esito previsto ed atteso, positivo o negativo in
conseguenza di un buon o cattivo insegnamento. L’insegnamento è centrato
sui contenuti, il modello didattico corrispondente è la lezione verbale, nella
quale si ha la trasmissione delle conoscenze attraverso la loro esposizione:
l’alunno è il ricevente di un messaggio che viaggia sempre nella stessa
direzione, a partire dall’insegnante, unico emittente. In questo modello
l’ apprendimento è inteso come variabile dipendente del processo di istruzione,
come esito previsto e atteso, in una logica appunto lineare.
b) Relazione
circolare. Alternativa al modello lineare, la relazione didattica può
essere pensata come comunicazione circolare: comunicazione, dunque, non
semplice trasmissione. In tale prospettiva, che si configura come
dialogica, l’insegnante non è semplicemente l’emittente che invia in forma
unidirezionale informazioni, ma è egli stesso destinatario di comunicazioni che
è l’alunno ad emettere, contribuendo a modificare l’impostazione che
l’insegnante ha inizialmente dato. Nella relazione circolare l’insegnante vede
trasformato il suo ruolo, si fa ascoltatore, è disponibile a prendere in
considerazione quanto l’alunno gli rimanda, anzi ne sollecita la
partecipazione, stimola gli interventi. Possiamo parlare di una didattica come comunicazione,
e non come trasmissione, quando c’è circolarità, ascolto reciproco,
flessibilità adattiva dell’itinerario di insegnamento..
L’esperienza
diffusa ci fa vedere come molti docenti, anche notevolmente colti e perfino
appassionati al loro lavoro, non riescono a trasmettere interesse per quanto
insegnano e ottengono risultati spesso deludenti. Perché l’azione didattica
risulti efficace non è sufficiente che l’insegnante conosca bene i contenuti
del suo insegnamento; l’insegnamento è una professione complessa, che include
tra le sue dimensioni, oltre alla conoscenza della materia, la competenza nella
trasmissione dei contenuti, nel coinvolgimento degli alunni, nella formazione
di abilità di indagine. Essere insegnanti efficaci significa possedere
adeguate modalità di mediazione e di relazione.
Ci sono due
fondamentali aspetti che l’insegnante deve presidiare e padroneggiare, quello
più squisitamente didattico, consistente nelle modalità di sollecitazione
cognitiva e quello relazionale, che riguarda la qualità del rapporto, la
motivazione al compito di apprendimento, la dimensione cooperativa del lavoro
in aula. Saper insegnare comporta anche il saper incoraggiare, nel senso di
sostenere gli alunni nell’impegnativo percorso della conquista dei significati.
E’, questo, un compito così delicato e difficile, che viene considerato
un’arte.
Nell’allestire
una buona proposta didattica si richiede all’insegnante una duplice attenzione.
Da un lato vi sono elementi di natura affettiva da considerare: gli allievi, al
loro ingresso nella scuola, possono o meno esplicitare i loro desideri,
aspettative, bisogni, che comunque rendono tipico e singolare
l’approccio con il mondo scolastico; essi, d’altro lato, si caratterizzano
anche per una dotazione di natura cognitiva: conoscenze, abilità e competenze
pregresse costituiscono un patrimonio spesso ben radicato, con il quale
l’offerta scolastica dovrà fare i conti. L’insegnante dovrà adoperarsi perché
le aspettative di partenza evolvano in vera e propria “motivazione” e,
contemporaneamente, perché le cognizioni in ingresso valgano al raggiungimento
del “successo formativo”.
Le dimensioni
dell’insegnante che possono favorire la riuscita dell’azione educativa e
didattica sembrano, pertanto, essere l’accoglienza, intesa come
capacità di riconoscimento e di valorizzazione del vissuto emozionale degli
alunni, e la competenza didatticaintesa come padronanza delle
procedure di mediazione e di facilitazione dell’apprendimento.
La
disponibilità di accoglienza e la competenza didattica si manifestano nella
capacità di leggerele attese di superficie degli studenti in termini di
bisogni profondi e di predisporre le risposte attraverso un’azione didattica
non trasmissiva e unidirezionale, ma interpretata secondo le modalità del
dialogo, come interazione costante tra oggetto e soggetto. In tale rapporto di
circolarità tra azione d’insegnamento e processo di apprendimento, sembra
consistere la “chiave” del successo formativo e, dunque, la qualità
dell’offerta didattica.
Non è cosa
facile prestare davvero attenzione alle richieste degli alunni, alle loro
domande di senso, il più delle volte non manifestate esplicitamente, affidate a
‘tracce’ spesso poco percettibili. Non si tratta, semplicemente, di saper
‘interessare’ gli alunni, ma di motivarli in profondità. La curiosità è un
ingrediente favorevole all’apprendimento, ma la motivazione ne è la radice
profonda. L’insegnante che ‘ascolta’ si fa attento alla situazione concreta
dell’alunno, alle competenze che dimostra, ma anche alle capacità che non sono
ancora pienamente sviluppate o sono soltanto intuite, alle possibilità che
chiedono un accompagnamento ed un sostegno educativo per tradursi in essere.
Una “buona”
proposta formativa, e dunque una proposta significativa, risulta
da un processo d’insegnamento – apprendimento che, in quanto tale, si svolge su
entrambi i versanti, che del resto sono profondamente intrecciati,
promuovendo la circolarità “virtuosa” tra motivazione e successo: alunni
motivati più facilmente conseguono il successo formativo e, reciprocamente, il
successo ha il potere di incrementare la motivazione. Esiste peraltro
anche la possibilità opposta: esperienze negative, tali da produrre
scoraggiamento e demotivazione, non solo non favoriscono la disponibilità
all’apprendimento, ma possono addirittura alimentare una
circolarità “viziosa” tra demotivazione ed insuccesso
scolastico.